trekking thiesi - 16 e 17 ottobre 2021 - San Pietro di Sorres Borutta

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Visita al santuario nuragico di Cherchiza e alla zona medievale di Monte S. Antonio
 
 
Sabato, 16 ottobre 2021, si parte da Borutta e ci si dirige verso il monte Pelau, dove è possibile seguire un percorso che ci conduce in località Cherchiza che ospita i resti di un santuario nuragico, e poi in località S. Antonio, in visita all’antico insediamento difensivo di Capula e Cepola (1).
 
La dott.ssa Anna Sanna (2), suggerisce di affrontare, la parte finale della mulattiera che porta in cima all’altopiano, con lo stesso spirito che doveva spingere i pellegrini nuragici (ma anche di epoche successive) nel raggiungere il santuario, luogo sacro per eccellenza, posto in un luogo alto, quindi più vicino agli dei. La fatica del devoto veniva compensata dall’avanzare lento ma costante verso la meta e dall’apparire, in modo gradualmente più evidente, dei primi edifici di culto che, come vedremo nella descrizione, erano di forte impatto visivo. Purtroppo in questa visita non si potrà vivere questa esperienza in quanto si arriverà direttamente dalla zona piana.
 
La parte dell’altopiano di Pelau che andiamo a visitare è costituita dall’estremità nord, dove il pianoro si restringe sino a diventare un istmo che si collega con la parte sovrastante Siligo, di forma tondeggiante, tanto che vista dal basso sembra un cono isolato. La visita inizia dal punto in cui la stradina arriva da Siligo.

 


Santuario nuragico di Cherchiza.
Nel santuario sono presenti tantissimi elementi architettonici che, seguendo le indicazioni degli specialisti che li hanno studiati, si cercherà di descrivere in forma semplice. I numerini posti al lato delle descrizioni aiutano il riconoscimento dell’edificio nella sintetica ricostruzione del santuario. Nella parte bassa dell’area interessata (altim. 595 metri) si trova un cosiddetto nuraghe a corridoio (1), riferibile al Bronzo medio come le tracce di un allineamento di massi e di una capanna (2) posti poco lontani e, forse, l’adiacente zona lastricata (3)  (1600-1300 a.C.). Nel bronzo recente o nella prima età del ferro avviene un grosso intervento di riqualificazione dell’area: sorge il tempio per il culto dell’acqua (4) costruito con cantonetti di basalto perfettamente squadrati. Sebbene le tracce siano ora poco visibili, è stato possibile ipotizzare la forma originaria. Il tempio si componeva di una camera a base circolare che diventava quadra nella parte alta grazie ad un ingegnoso sistema di modificazioni strutturali che ancora oggi è possibile osservare; vi si accedeva attraverso un atrio di forma trapezoidale, infatti la facciata era più larga della parte posteriore. La parte esterna dell’edificio era composta da pietre squadrate e perfettamente lavorate sistemate a strisce bianche e nere; la facciata terminava a capanna con il colmo del tetto piatto e largo qualche decina di centimetri per ospitare alcune spade votive infisse in fori appositi e rivolte verso il cielo. La bicromia della facciata doveva essere perfettamente visibile dal fondo valle e serviva da punto di riferimento per il pellegrino che si arrampicava verso il santuario. L’importanza cultuale è stata confermata dal rinvenimento di due bronzetti che, benché in pessimo stato di conservazione, testimoniano la ricchezza delle offerte; si tratta di un arciere con arco in spalla e di un altro saettante. Nello stesso periodo fu recintata l’area lastricata e rivestita la parte laterale del nuraghe a corridoio, adiacente a questa, con pietra perfettamente lavorata come quella del tempio, per cui l’effetto generale doveva essere davvero particolare. Si presuppone che il pellegrino si fermasse nel tempio dell’acqua per effettuare i riti di purificazione necessari ad essere ammesso nella zona alta; nell’area lastricata potevano avvenire incontri delle personalità politiche e religiose dei villaggi della zona od anche balli rituali facenti parte di feste legate a particolari ricorrenze religiose.
 
Procedendo verso la zona sacra posta in alto (altim. 610 m.) si incontra a sinistra una costruzione rettangolare (5) che gli studiosi attribuiscono per il momento ad uso difensivo e che aspetta di essere indagata scientificamente. Poco più avanti ci si ritrova fra i ruderi di un edificio a pianta rettangolare (6) di dimensioni considerevoli (m. 20x6); gli archeologi ipotizzano, dalle tracce ritrovate, che fosse costruito con filari di pietre squadrate bianche e nere e che la copertura fosse eseguita con lastre bianche. Al suo interno un sedile-bancone, ancora visibile, segue tutto il perimetro tranne un pezzo nella parete occidentale ed interna dove è stato trovato un elemento cilindrico in pietra, una sorta di altarino o di sgabello con la parte alta a forma di disco sporgente. Il fedele entrava nell’ambiente da una delle due porte poste sulla parete orientale, deponeva le offerte, e passava nell’area sacra infilando una delle due porte, perfettamente frontali alle precedenti. Fra le macerie sono stati rinvenuti reperti di grande valore che confermano l’importanza del santuario: numerosi vaghi di collana in ambra di provenienza dal mar Baltico; una brocchetta in bronzo in miniatura alta cm. 3,7; due statuine di bronzo: un soldato orante con spada e scudo, una figura femminile con ampio manto decorato, una mano di una terza figura che regge un piatto d’offerta con sopra due oggetti allungati ritenuti dei pesci, probabile offerta di un pescatore pervenuto dalla costa occidentale. I legami con il mare sono attestati dall’abbondante ritrovamento di gusci di patelle e di ostriche e da piccoli ami di bronzo. La zona interna, ben delimitata da un muro a tratti ancora visibile, conserva i resti di altri sei edifici, non tutti analizzati in modo scientifico per cui nascondono ancora i loro segreti. Nell’individuare le tracce degli edifici si seguirà per convenienza un percorso circolare in direzione oraria. Seguendo le tracce del muro di cinta poste a sinistra si raggiunge una costruzione a base circolare (7) eseguita in opera subquadrata disponendo le pietre a fasce sovrapposte; lo scavo dell’area interna ha evidenziato la presenza di un anello di pietre cuneiformi accostate dove il vuoto interno poteva essere usato come focolare. Dai materiali ritrovati si è pensato che avesse la funzione di sacello utilizzato nel periodo nuragico ed in seguito nella fase punica e romana. Di particolare interesse una statuina femminile in terracotta con ampio copricapo riferibile alla fase finale di utilizzo e della preziosa ceramica di importazione proveniente dalla città di Gnatia nella Puglia Meridionale. Poco più avanti si incontrano i resti di un edificio a base rettangolare (8), sempre in opera subsquadrata, i cui lati brevi erano costituiti da due semicerchi (absidali) mentre il lato lungo posto all’interno dell’area aveva due porte di comunicazione; la copertura doveva essere “a chiglia di nave rovesciata”, ovvero costituita da elementi di pietra chiara disposti in fila ed aggettanti progressivamente verso l’interno (diverse lastre sono state rinvenute fra le macerie). Dai reperti ritrovati all’interno non pare chiara la funzione ma sembra possibile l’utilizzo come deposito di derrate alimentari in quanto sono stati recuperati resti di chicchi semicarbonizzati dall’incendio che ha fatto crollare il tetto. Procedendo si incontra un grosso cumulo di massi e pietre corrispondente ad un nuraghe monotorre (9) crollato e non ancora indagato. Poco oltre, ci sono tracce (10) di una struttura ampia (m. 40x6) che ha subito vari scavi abusivi ed ancora non individuata nella forma e nella funzione perché non è stata analizzata scientificamente. Piegando a destra si incontrano i resti di una costruzione a pianta rettangolare (11) che gli esperti ipotizzano possa trattarsi di un tempio in antis (un ambiente preceduto da un vestibolo) con copertura a due spioventi; sebbene non sia stato indagato, la presenza di tavole di offerta (pietre con fori dove si fissavano i bronzetti) sparse intorno ne indica una funzione cultuale. Ed infine, ritornando verso il grande edificio rettangolare che fungeva da ingresso, si incontrano i resti minimi di una costruzione a base circolare (12) costruita con pietre perfettamente squadrate e levigate; anche questo edificio non è stato indagato, ma il ritrovamento al suo interno di un seggio in pietra simile a quello descritto nell’edificio di ingresso, sembra indicare un altro luogo di culto. Al di fuori dell’area sacra si trovano altre tracce di antiche costruzioni che aspettano di essere indagate e studiate con attenzione. Al momento negli studi a disposizione non si ha notizia di insediamenti abitativi utilizzati dagli addetti al santuario che in qualche posto dovevano pur vivere; o il sito non è stato ancora individuato oppure si trovava nell’area medioevale di cui si parla più avanti, ma questa ipotesi sembra poco probabile per la relativa lontana dal santuario.
 Insediamento medioevale di Sant’Antonio. Il termine usato in alcune indicazioni medioevale di ‘Montecastello’ ci indica una fortificazione naturale (castello dato dal monte), infatti, dai resti visibili non sembra vi sia traccia di fortificazione se non, come si vedrà più avanti, quella dell’ingresso. Durante l’escursione si perverrà all’aerea direttamente dall’altopiano attraverso l’istmo che separa quest’isola particolare per cui si ha la possibilità di verificare le uniche elevazioni difensive poste nell’ingresso, alla fine di un viottolo lastricato che arriva dalla valle; si riconosce un grosso muro legato con malta di calce che doveva sostenere le antiche porte in legno. Vi sono anche grossi massi, probabili resti di elementi preistorici, che lasciano spazio all’ipotesi che l’area sia stata utilizzata da tempi antichi e che la vita sia continuata con alterne vicende sino all’abbandono in epoca tardo medioevale. Non avendo alcuna indicazione di studio di quest’area si cercherà di farne una descrizione in base agli elementi visibili e al confronto con altre realtà. Superato l’ingresso, si trova a destra una costruzione a base circolare completamente interrata; si suppone possa trattarsi di una neviera in quanto come cisterna per l’acqua non sembra avere una tenuta sufficiente. Si procede spostandosi a sinistra sino ad incontrare un piccolo piano inclinato che ci aiuta a superare un dislivello di qualche metro; il passaggio è protetto sul lato destro da una fila di massi irregolari posti a guisa di parapetto. Nella parte alta si incontra quasi subito, sulla destra, l’antica chiesa di Sant’Antonio, o meglio, ciò che resta di essa. Si tratta di un edificio absidato ad est ancora perfettamente visibile perché la muratura si conserva per una altezza di più di un metro, tranne la parete di facciata che è completamente crollata. Appena più a sinistra si intravedono tracce di un grosso edificio a base rettangolare e dietro di questo un altro (o forse due) sempre a pianta angolata, edifici legati al castello. Si arriva ad un muretto a secco di recinzione che appare elevato in tempi non lontani (1800-1900) che funge da separazione fra questa e la zona successiva che si va a visitare. Tutta l’area è variamente occupata da muretti, accumuli di pietre, e tracce di edifici in muro a secco che si concentrano in alcune zone lasciandone completamente libere altre. La vegetazione arbustiva e l’erba alta rendono difficoltosa anche una approssimativa lettura della struttura urbanistica di questo insediamento; solo una accurata pulizia e un rilievo planimetrico possono dare le prime risposte sulla tessitura muraria. Al visitatore non sfugge comunque l’interesse storico e archeologico che questa porzione di Pelau sta gelosamente nascondendo ma che solo delle accurate ricerche con sistemi scientificamente validi potranno gradualmente rivelare. Dopo aver curiosato fra questo groviglio di muri e pietre, magari riuscendo a ritrovare una macina individuata alcuni anni fa a confermare la tesi dell’insediamento, si ritorna sui propri passi sino all’ingresso fortificato dove si imbocca ciò che resta dell’antico viottolo lastricato che si percorre per un tratto sino al punto in cui, trovandolo ostruito dalla vegetazione, si lascia a sinistra per procedere verso il basso sino ad incontrare nuovamente la strada per Siligo.  In questa occasione ci si limita a ripercorrere al contrario il percorso e rientrare a Borutta.
Salvatore Ferrandu

Le informazioni sul Santuario sono state rilevate dal libro: Siligo, storia e società, a cura di Attilio Mastino, Edes, 2003, e dal Bollettino di Archeologia n. 10 e n. 13-14-15.
 
(1)     La dott.ssa A. Sanna ha curato nel libro citato la parte riguardante il santuario nuragico.
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